Odette Di Maio e la sua musica


di Sisco Montalto - Casualmente mi sono imbattuto in una vecchia musicassetta dei tempi del liceo, di una band, i Soon, che avevo ascoltato molto in quel periodo (anni '90) ma che avevo rimosso con gli anni. 
Appena ritrovata ho ricordato tutto, in particolare la splendida voce di Odette di Maio, cantante e chitarrista della band che per quattro anni ebbe grande popolarità in Italia, grazie al loro bel sound tra il brit-pop e il grunge e che si sciolse definitivamente nel '99.
Ma Odette non si è fermata, ha continuato a fare musica, la sua musica, oltre a tante altre cose, e quindi ho voluto fare quattro chiacchiere con lei, sui suoi progetti e non solo: ne è uscita fuori una bella conversazione, con un artista vera, come ce ne sono pochi in Italia, disponibile e schietta. Insomma sono rimasto contento, spero piaccia anche a voi..

- Odette ho visto che nella tua vita c'è molta America, quasi una seconda casa per te: mi racconti da dove nasce questo amore e come negli anni si è sviluppato? Cosa ha dato alla tua musica e alla tua arte?
"L’amore per la musica americana e per quel paese c’è sempre stato. Mio padre viaggiava molto per lavoro quando ero piccola e spesso tornava dai suoi viaggio con apparecchiature e musica ‘made in USA’ che già da bambina assorbivo come una spugna. Alla fine, il caso ha voluto che mi innamorassi di un ragazzo americano e che a vent’anni decidessi di trasferirmi in USA per un po’: lì ho imparato per bene la lingua e ho esplorato molti dei suoi vasti e affascinanti territori, imparando ad aprire la mente al diverso e acquisendo un reale senso dell’avventura. Ovviamente tutto questo si è riflesso nella mia musica che ha sempre cercato di non essere banale e di lasciare spazio alla creatività e a sonorità diverse, pur rimanendo nella sostanza molto pop."

- Ho letto di Seattle, del viaggio che hai fatto anni fa: come è cambiata secondo te l'America dal '99, se è cambiata, e come è cambiata la sua musica, che è sempre stata punto di riferimento per i musicisti di tutto il mondo? Credi che gli Stati Uniti possano ancora essere un punto di riferimento?
"Ero a Seattle nel ’92, in piena era grunge. Di quella spontaneità e ruvidità che contraddistingueva molte delle band in circolazione all’epoca penso sia rimasto poco. Forse io ne ho una più lontana percezione, essendomi un po’ allontanata dall’ascolto ossessivo di tutte le novità del momento, ma ho la sensazione che ci sia sempre meno musica originale e più musica impastata col passato. Inoltre pare che molti artisti, di cui musica e immagine sono costruite a tavolino, si adagino sulla scia di precedenti band e artisti di successo. Senza parlare di quanto sono cambiati gli Stati Uniti e la società americana – indubbiamente è cambiato molto, ritengo che i riflessi di questi cambiamenti vengano percepiti anche in ambito musicale.

Riferendomi invece alle modalità in cui la musica oggi è veicolata, vediamo tutti come sia avvenuta una sostanziale rivoluzione di paradigma. 
Ora siamo nell’era della musica 3.0, dove l’artista può dialogare direttamente con il suo pubblico e costruirsi  il suo viaggio musicale e dove l’intermediaria discografica deve necessariamente reinventarsi il suo ruolo, ponendosi come un riferimento multicanale a supporto dell’artista e non più il solo ‘decision-maker’ della sua carriera. Questo dà speranza ad artisti meno in vista di avere comunque l’opportunità, soprattutto grazie ad internet e alla competitività delle offerte, di raggiungere ugualmente un suo pubblico, anche se di nicchia."

- Mi parli del tuo spettacolo "L'America di Odette"?
"Lo spettacolo rappresenta semplicemente l’organizzazione, sotto un nome e la descrizione di un ‘concept’, di un repertorio che avevo costruito nel tempo: l’insieme delle cover che più rappresentavano per me la mia idea di musica americana!
Il mio ex manager è riuscito a dare un titolo allo spettacolo, con parole semplice e dirette, e dall’epoca dei Soon sono riuscita a portare questo spettacolo di cover ovunque, in Italia e in molti paesi esteri. 
Si tratta in sostanza di un viaggio virtuale attraverso strade e paesi nordamericani, rappresentati da canzoni significative e che esplorano diversi decenni di rock, folk e pop. È uno spettacolo semplice, che quando posso mi piace corredare di fotografie e mappe; mi supportano il bassista Michele Rota e il batterista Milly Fanzaga nelle occasioni più rockettare!"

- Cosa ne pensi di tutte questi cantanti e band italiane che non fanno altro che scopiazzare gruppi e artisti inglesi o americani? Tu, che comunque sei sempre stata attenta al songwriting di stampo americano, non credi che tra influenzare il proprio stile musicale e fare delle caricature ad arte di artisti stranieri, ci sia una enorme differenza?
"Certo hai ragione. Sai, alla fine non riesco neanche a giudicare, ma so che quando sento qualcosa di autentico mi è facile riconoscerlo.
La mia personale opinione è che per molti copiare è una modalità per dichiarare la propria appartenenza a un filone e a un trend, cercando nell’imitazione una propria identità. 
E’ comunque il pubblico quello che dovrebbe discernere e imparare ad apprezzare il buono.
Ovvio poi è che responsabilità dei media sarebbe quella di indirizzare l’ascolto all’insegna dell’apprezzamento della qualità. Ma qui rischio di essere un po’ idealista...ehehe."

-Come sono nate le tue collaborazioni con artisti americani e non?
"Devo ammettere che alcune collaborazioni sono nate casualmente,. Mi riferisco a Lorbi, che è stato per un certo periodo un collega in uno studio grafico dove lavoravo part-time: alla fine, dopo avermi aiutato con un demo acustico per il progetto The March (con il mio amico americano Ben Slavin), Lorenzo Bianchi mi ha proposto di cantare per lui le sue canzoni e da qui è nato il primo album di Lorbi.

Di conseguenza sono anche scaturite le collaborazioni con Pilot Jazou e l’austriaco Parov Stelar, quest’ultimo editore dell’album di Lorbi. I Bedroom Rockers, duo milanese, il cui primo album è uscito per la Polygram una decina di anni fa, li conoscevo grazie ad amici comuni e mi è sempre spiaciuto che il singolo che ho cantato per loro non abbia ricevuto l’attenzione che meritava.

Tuttavia questo stesso singolo (Nothing else matters), che sembra sia stato trasmesso anche durante un episodio del telefilm CSI Miami, mi ha fatto notare da Schiller, affermato artista tedesco che mi ha voluta coma autrice ed interprete sul suo ultimo album pubblicato nel 2010.
Insomma da cosa nasce cosa e credo fermamente che seminare ogni giorno possa valere la pena perché le strade sono davvero infinite."

- La tua biografia è piena di esperienze e collaborazioni, sei attivissima eppure sei tra i tanti artisti in Italia eterni emergenti o di nicchia o indipendenti, che stranamente solo in questo paese sono spesso i migliori artisti: cosa pensi di questa situazione e come la vivi tu che per un certo periodo sei stata anche tu ai vertici con i Soon?
"Ricordo che il mio “ego” ha ricevuto una bella batosta quando mi sono dovuta rendere conto che l’esperienza con i Soon era, per varie vicissitudini, al capolinea. Tuttavia, in seguito, questo mi ha dato la forza di dedicarmi finalmente alla musica con un approccio più personale: con completa libertà ho potuto scegliere cosa cantare, come e con chi. Ovvio che a ogni artista piacerebbe veder riconosciuto il proprio lavoro e – come auspicavo nel mio caso - poterci vivere, ma alla fine mi sono dovuta adeguare alla realtà dei fatti, accorgendomi tuttavia che era più soddisfacente il processo creativo in sé che il giudizio del pubblico. 
Ora vivo la musica con divertimento, leggerezza e totale indipendenza. Mi rendo conto che è un peccato che molti dei talenti in circolazione debbano confinare la propria attività a qualche localino di provincia e CD autoprodotti, ma mi riesce davvero difficile esprimere un’opinione generalista."

- E data anche la tua esperienza in radio: come lo vedi oggi il ruolo delle radio? Rappresentano ancora un canale valido per diffondere musica, soprattutto di qualità?
"La mia esperienza radio è stata molto limitata, con la breve collaborazione con Rock Fm, una radio del nord che tra le poche trasmetteva esclusivamente ogni genere musicale legato al rock. Ammetto di ascoltare pochissima radio quindi non so giudicarne obiettivamente la qualità. Probabilmente ha ancora il vantaggio di essere tra i più importanti veicolatori di (buona?) musica ma è indubbio che il grosso limite delle radio è che sono schiave della pubblicità che le sostiene e questo determina il passaggio in radio di musica prevalentemente commerciale o di tendenza."

- Sei anche giornalista: che opinione hai delle riviste specializzate (musicali) e dei giornalisti specializzati, molti dicono che sono per la maggior parte dei "venduti", che si arruffianano solo i grandi artisti...
"Ohhhh, non chiamarmi giornalista, non è vero, ho collaborato più per divertimento che altro con piccole riviste indipendenti musicali (tra cui Freak Out Magazine). Come per tutti i media, più la rivista raggiunge un grande pubblico più deve far quadrare i conti tra costi e ricavi. E’ dura essere “indipendenti” in un paese come l’Italia ma è forse l’unico modo per preservare l’autenticità di chi scrive.

Oggi come oggi poi mi sembra che anche i blogger siano diventati  dei riferimenti importanti per chi vuole ascoltare musica di un certo tipo. Come le analisi sui social media insegnano, ora è il mercato stesso che parla di se stesso e dei ‘brand’: declinando questo sul pianeta musica è facile vedere che chi cerca la notizia “vera” ha solo l’imbarazzo della scelta sul web e ha la possibilità di distinguere opinioni sincere da quelle pilotate."

- Ritornando indietro nel tempo, e precisamente ai Soon: secondo te c'è stato un regresso nella musica italiana da quegli anni? Ho la sensazione che prima fosse possibile proporre qualcosa di nuovo; adesso è  tutto un uniformarsi alle tendenze, alla moda, tutto fatto a tavolino: cosa ne pensi?
"Questa domanda ci riporta al discorso che ho fatto prima sulle band più modaiole. Aggiungo solo una riflessione: mi chiedo quanto il dare così tanta importanza ai partecipanti e ai vincitori di un talent show in TV possa aiutare la musica più originale a diffondersi!!!"

- Mi parli dei tuoi progetti presenti?
"Da più di un anno sono dedita a un progetto totalmente autoprodotto che coinvolge me e un compositore belga, Jan de Block. Abbiamo scritto una quindicina di canzoni nell’arco di pochi mesi e ora siamo in fase di mixaggio e di costruzione del sito. Il nome del progetto è Miss O! Siamo forse un po’ utopici ma l’ideale che che sta dentro la nostra musica è che, in totale autonomia, sentiamo di poter veicolare la nostra musica bypassando il ‘music business’ tradizionale, rivolgendoci direttamente ai nostri ascoltatori e costruendo giorno per giorno una ‘fan-base’ da coinvolgere in un network di collaborazioni e scambi musicali. 
Mi piacerebbe che Miss O diventasse un progetto collettivo, a cui tutti, nel loro piccolo, possono contribuire. Non ritengo che un progetto del genere possa portare alcun guadagno rilevante. 
Diciamo che è un regalo che ci sentiamo di dare al pubblico! Stay tuned on Miss O World!"

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Odette Di Maio sul Web 


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