The Economist, punk-elettronica da Palermo


di Sisco Montalto


"Cresciuti a pane, pop, punk e metalcore", come dicono nella loro biografia, questi cinque ragazzi di Palermo hanno iniziato presto a calcare i palchi d'Italia con il nome A Last Failure, insieme a band del calibro di "9mm" e "Your Hero", partecipando anche a compilation insieme ad artisti come Vanilla Sky, Lost ed Airway. Da questa esperienza prende forma il progetto "The Economist" che unisce sì pop, punk e hardcore, ma anche funk, new wave ed elettronica anni '80. Ne esce fuori un mix davvero coinvolgente e interessante.
Sono in giro con il loro primo album, un concept che a loro detta "esprime non troppo velatamente il loro intento di navigare come Sailors tra oceani di gusti ed influenze musicali differenti, giocando con il fuoco nel proporre, anche a chi non si è mai approcciato ad una realtà musicale alternativa, un originale prodotto dell' underground travestito abilmente da pop music"....abbiamo parlato con loro:

-The Economist è...
"The Economist è un progetto che portiamo avanti da 3 anni totalmente DIY, autoprodotto a 360 gradi, dalle grafiche alle registrazioni fatte in casa, dai video al management del gruppo. Originariamente ispirato da una nuova scena musicale americana che univa funk a pop punk si è negli anni evoluto di pari passo ad una crescita sia musicale che personale. Adesso stiamo affrontando una fase quasi di ritorno alle origini, nel senso che cerchiamo nei nuovi pezzi di far emergere l'attitudine punk che abbiamo sempre avuto unendola alla rinnovata passione verso l'elettronica. E' comunque un progetto caratterizzato da una continua evoluzione che neanche noi stessi sappiamo bene dove ci porterà."

-Avete avuto un discreto successo appena diciassettenni, come "A Last Failure": cosa è successo dopo?
"Gli "A Last Failure" sono stati un progetto emo-core nato dall'incontro di 2 ragazzi di Palermo ed un catanese. Essendo tra i primi gruppi portatori del genere in Italia insieme ad Hopes Die Last ed Airway non abbiamo avuto difficoltà a stringere amicizie nel resto d'Italia che ci hanno permesso di girare molto. Purtroppo i tempi erano ancora precoci e soprattutto la nostra poca esperienza di "manager" di noi stessi unita all'abbandono del nostro batterista, fondamentale per il progetto, ha determinato la conclusione di un ciclo che in ogni modo ci ha lasciato tanto."

-Mi hai detto che proponete una propria personale interpretazione di Rock: cosa intendi?
"Unicamente il fatto che poiché non ci ispiriamo ad una scena ben precisa ma siamo costantemente vittime di più influenze disparate, è impossibile catalogarci in un genere o in un filone musicale ben preciso,da ciò ne deriva che ciò che esce è una interpretazione di rock tutta nostra.
Ascoltando il nostro cd potrai trovare da pezzi totalmente rock and roll ad elettronica passando da funk, punk a produzioni pop."

-Mi parli di "Sailors Didn't Play With Fire": l'idea del concept da dove nasce?
"Nasce per l'appunto dal concetto di "Sailor", associato alla nostra musica, esprime il fatto del non potersi identificare con un solo target di ascoltatori o con un solo genere musicale; da ciò deriva il fatto che giochiamo con il fuoco poichè questa spontanea duttilità si rivela un'arma a doppio taglio che può avere l'effetto positivo di piacere ad ascoltatori differenti ma anche l'effetto inverso di non piacere proprio perché troppo "poco coerenti". Diciamo che nell'interpretazione del nostro primo lavoro gioca molto l'apertura musicale di chi si approccia all'ascolto."

- Dicevi che avete intenzione di proporre "un originale prodotto underground travestito abilmente da pop music": mi fai capire meglio cosa significa e perchè travestito da pop-music, forse per arrivare più facilmente e ad un più vasto pubblico?
"Sicuramente poter arrivare ad un vasto pubblico suonando comunque qualcosa di stampo indipendente è ciò che di meglio si può aspettare per un gruppo come il nostro. Avendo sempre suonato generi di nicchia arrivi ad un punto in cui devi fare una scelta e capire cosa e quanto giocarti, soprattutto se vieni da un panorama limitato come quello di Palermo. Noi nel cd abbiamo cercato di essere più "easy listening" possibile, esprimendo però la nostra reale essenza nella preparazione del live, nella scelta dei pezzi da eseguire, nell'attitudine sul palco, tutti elementi da cui emerge la nostra vera natura."

-Il panorama palermitano rispetto ad altre zone della Sicilia sforna sempre gruppi con attitudini musicali un po' fuori dalle tendenze del momento: secondo te perchè?
"Partendo dal presupposto che, avendo conosciuto molte realtà musicali del resto del paese, sono convinto che la nostra scena non abbia nulla da invidiare a quelle di altre grandi città italiane, soprattutto in ambito hardcore ed alternativo in generale; è sempre mancato invece un giusto approccio di chi investe sulla musica, dalla promozione alla retribuzione è sempre tutto lasciato alle sole forze della band e questo risulta determinante nella crescita ed affermazione di un progetto. Penso che la nostra situazione di isolamento ci spinga a cercare di andare oltre i soliti cliché e distinguerci in qualche modo per sopperire i limiti che la nostra collocazione geografica ci pone."

-Come definiresti il vostro album?
"Non è assolutamente facile poiché come ho cercato di esprimere su di noi gira un mondo di atmosfere ed influenze così distanti tra loro che difficilmente è possibile racchiudere in due parole. Direi, sperando di non risultare banale, "passato" e "futuro", insieme questi due elementi caratterizzeranno sempre il progetto The Economist."


-"Sogni futuri" degli Economist?
"Adesso stiamo pianificando un tour europeo per fine settembre grazie ai buoni contatti arrivati con il nuovo video, stiamo già componendo nuovo materiale ed abbiamo in programma un nuovo videoclip, totalmente diverso dal precedente, per l'uscita del secondo singolo del nostro album. Per il resto continuiamo a darci dentro aspettando di vedere dove ci porteranno gli eventi."





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