"Abutilon", di Jacopo Marretti

                                                           di Cristina Siracusa

Potremmo definirlo un giallo, in realtà Abutilon è un racconto talmente ricco di spunti riflessivi che travalica la classica impostazione del genere. Un commissario, Adriano Carata, un uomo concreto, di spessore, refrattario ai sorrisi forzati e alle chiacchiere inutili, tuttavia costretto ad ascoltarle per via del suo lavoro. Indaga su una serie di omicidi, vittime all'apparenza così diverse tra loro ma legate da un filo rosso. 
Storie di ordinaria solitudine. Sembra che la stessa mano si accanisca su persone depresse, chiuse nel loro piccolo mondo inutile, un'esistenza ormai banale e scontata…Acutissima la riflessione sulla religione cristiana e sui culti in generale, considerati dal commissario quanto di più falso e fastidioso possa esistere al mondo: uno scandaloso ed inesorabile lavaggio del cervello ad opera di un potere supremo, verso ignoranti che sistematicamente rinnovano la propria sottomissione e nullità nei confronti di istituzioni ecclesiastiche.


Tre luoghi si contrappongono tra loro nel romanzo: il terrazzo dove il protagonista ama rifugiarsi ogni volta che può per ritrovare la quiete pura e incontaminata che solo le sue piante possono trasmettergli, alle quali dedica un'attenzione ed un amore viscerali. 

Dal silenzio della sua oasi si passa a quello costruttivo di un bar, la bettola dove il commissario può trovare la dimensione necessaria per costruire la verità e risolvere i suoi casi. In questo luogo ognuno può essere semplicemente se stesso, non c'è bisogno di fingere, non c'è bisogno di recitare una parte, ognuno può dare il peggio di se…Ognuno depone la propria maschera per dare sfogo alle sofferenze quotidiane, più vere e sincere di mille risate obbligate. 
Quindi il lettore viene rimbalzato in un altro luogo, il bar allegro dove ognuno gioca le proprie carte, impersonando un ruolo solo per piacere agli altri, ma il sorriso è spesso vuoto, forzato e imbarazzante: un carosello di apparente felicità. 
E dal contatto con questi luoghi il commissario capisce che non deve cercare un mostro da sbattere in prima pagina, così da appagare la curiosità del medio borghese che raramente cerca passioni complesse o moventi intrinseci, a lui basta l'apparenza, è abituato ed anzi esige la chiarezza: bianco o nero. 
Ma la realtà non è mai così lineare e ogni tentativo di incanalarla verso canoni semplici, ristretti, limitati, diventa fuorviante. 
E mentre il commissario è perso nelle sue riflessioni ecco che appare un messaggio dall'assassino che, inquietante, si rivolge direttamente a lui e tutto si ribalta, inesorabilmente.

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