PARSEC - "Reset" 2011

di Salvatore La Cognata

Decido di fare un giro in macchina, questo cielo è troppo bianco e anonimo, e non mi va di stare a guardarlo, preferisco l'asfalto e i pensieri in movimento. Operazione molto semplice: basta mettere il cuore al posto del motore e non resta che andare, come una ronda inutile e necessaria, una perlustrazione del nulla. 
Ho appena finito di ascoltare "RESET" il primo e.p. dei bolognesi PARSEC, giovanissimo quartetto  che ci presenta questo gustoso biglietto da visita davvero intrigante e per certi versi poco italiano, almeno nella maggior parte degli episodi.
Una proposta che parte da una base post rock, inglobando altri elementi, dal post metal degli ISIS, alle confessioni intime dei maestri e conterranei MASSIMO VOLUME, fino a certe atmosfere in odore PORCUPINE TREE. Un rock prevalentemente strumentale, plumbeo, ossessivo e senza compromessi.
Il primo pezzo "GOYA" è un eloquente manifesto delle cose dette in precedenza; basso roccioso che dialoga con una batteria prepotentemente in evidenza, che dirige l'orchestra, fa il bello ed il cattivo tempo, segna le coordinate dei brani. La sezione ritmica è un muro infrangibile che parte dalle atmosfere dei già citati ISIS, con le chitarre all'occorrenza ipnotiche ed arpeggiate, o elettriche e nervose, un pezzo oscuro con un tappeto elettronico mai invadente, tre minuti in cui i nostri incubi sembrano venir fuori, e ce li ritroviamo seduti proprio accanto.
"ZENIT" è un post rock dinamico con la solita sezione ritmica a farla da padrona ed un canto recitato e filtrato che richiama inevitabilmente le ossessioni intimistiche della band di MIMI' CLEMENTI; allora forse è il momento di premere il piede sull'acceleratore, mi ritrovo immerso fino al collo dentro il viaggio che i PARSEC mi stanno regalando.
La title track credo sia l'apice del disco, una suite superba e veramente notevole, un arpeggio lirico e trascinante che, una volta entrato in testa, fatica ad uscirne, basso distorto e tastiere, violini e sinth a completare l'opera. Credo sia veramente impossibile un ascolto distratto perché la musica ti entra subito dentro e sembra conoscerti da sempre, sembra sapere quali siano i tuoi punti deboli e sa come e dove affondare il coltello nella piaga, sette minuti di confessioni a cuore aperto senza dire nemmeno una parola.
Con "MONTY BROGAN",  i PARSEC  sembrano tornare a casa, un omaggio sentito ai già citati MASSIMO VOLUME, e un testo in italiano che, nonostante il paragone ingombrante, riesce a non sfigurare di fronte ai maestri, un indie rock che non lascia spazio a speranze in un futuro migliore, ma un'amara constatazione di un presente nero, un giro tra le periferie dell'anima.
"MAHATMA" chiude il disco e presenta delle atmosfere un po' più rilassate, come quando alla fine di una corsa, ancora pieni di adrenalina, abbiamo bisogno di prendere un po' d'aria e respirare profondamente. Un brano ipnotico e vagamente psichedelico, che tiene a bada le sfuriate dei pezzi precedenti, pur mantenendo una tensione di fondo, un mix di voci in sottofondo che sembrano essere estrapolate da qualche intercettazione non autorizzata, e il basso protagonista che tira di fioretto con una chitarra reverberata e lisergica. 
Il viaggio in macchina è finito e gli incubi sono ritornati al loro posto, comincia quasi a far buio e forse è meglio tirare i remi in barca.
Se questo è l'antipasto, io voglio arrivare fino al dolce e al caffè. Se consideriamo che si tratta di un esordio, il futuro dei PARSEC non può che essere raggiante e pieno di soddisfazioni, per gli amanti delle atmosfere sopra citate potrebbe già diventare un must!



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