"Hanno ucciso un robot", secondo album per "The Walrus"

di Sisco Montalto

Partiamo dal nome: The Walrus è già un gran biglietto da visita per una band, ma forse sono troppo di parte essendo da sempre un grande fan dei Beatles. Mi è venuto normale cercare subito nella loro musica qualcosa che ricordasse i "Fab Four":  ho trovato la vaga attitudine verso un certo tipo di melodie e un pizzico di leggerezza, intesa come facilità a creare canzoni, che accompagnava i quattro di Liverpool nelle loro incisioni. Per il resto credo non sia neanche giusto fare certi paragoni, ma posso dire che questi ragazzi livornesi hanno partorito un disco interessante, sicuramente non dal sound originale, se ancora oggi si può parlare di originalità, ma sicuramente figlio di questi tempi, il che in molte situazioni non è necessariamente un male; basta non nascondersi dietro false etichette e non scimmiottare la band di successo di turno.. Questo sembra che i Walrus l'abbiano capito! Riescono facilmente a creare un indie-pop non stupido, a cavallo tra Vaccines, Kooks, Bloc Party, Belle&Sebastian, Vasillines e una spruzzata di italian style che richiama soprattutto i Baustelle di maggior successo. Interessante anche il duo vocale e la voce femminile che non passa inosservata.
A quattro anni di distanza dal lavoro precedente, esce dunque questo secondo album dal titolo sicuramente singolare: "Hanno ucciso un robot". Non è facile passare dall'inglese all'italiano, in particolare quando il sound proposto è tipicamente internazionale, si rischia di creare delle copie italiane buone forse solo per ragazzini, ma con un gran sospiro di sollievo ho potuto invece apprezzare la positiva struttura dei testi e dell'effetto finale. Credo che la personalità ci sia, bisogna magari farla crescere ma c'è sempre tempo e fare musica è bello anche per questo. Nota finale e un po' soggettiva (perchè non mi piace mai consigliare un brano piuttosto che un altro, ognuno trova la sua traccia giusta), due pezzi mi sono piaciuti più degli altri: "Lento erotico" e "Shirley temple", con testi quasi parlati che danno un tocco di eleganza e particolarità.





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