Aumarais - Francesco Fracassi racconta il suo ultimo libro



di Cristina Siracusa





Cinque domande a Francesco Fracassi, autore di Aumarais, con il quale si è aggiudicato il premio “ilmiolibro Feltrinelli Editore”.

- Di cosa parla il tuo libro? 

"È sempre la domanda che temo di più. Di cosa parla Aumarais?! È abbastanza difficile cercare di spiegare qual è la sua storia senza dare un’impressione di assoluta banalità. Forse il modo migliore è proprio partire dal luogo, da Aumarais stessa, mezzo paese e mezza città, collocata in uno spazio e in un passato indefiniti. 

Aumarais è essa stessa personaggio, è incompiuta, sbagliata, costruita male e famosa per una chiesa che tutti vanno a vedere ma che nessuno apprezza. Dentro ad Aumarais vengono a muoversi personaggi che sono anch’essi incompiuti, anch’essi in qualche maniera sbagliati. Un contadino reduce di guerra che cerca una risposta e una persona che non conosce. Una giovane donna che aspetta di veder tornare l’amore della sua vita. 

Un bambino dalla pelle nera che vorrebbe partire per un posto lontano. Un vecchio uomo potente morto di crepacuore. Una ragazzina bellissima. Un ladro appassionato di fotografia che, dopo tanti anni, sogna ancora la ricchezza. 

Una ragazza giapponese con due promesse da mantenere.
Su piani temporali diversi questi personaggi si sfiorano, si toccano, si intrecciano, si scontrano, coccolati e in qualche modo sorretti dalla pioggia infinita di Aumarais. E cercano così di superare quel senso di incompiutezza che inevitabilmente li pervade, e che io credo pervada un po’ tutti, almeno una volta, nella vita."
  
- Attraverso quale percorso hai maturato questa storia? 
"Il percorso che porta ad un finale, ad un racconto compiuto, per quanto mi riguarda, è sempre incomprensibile. Non so spiegare perché una storia arrivi a una fine e altre no. Non credo che c’entri il fatto di essere la migliore fra quelle che ho in testa, è solo quella che prende una vita propria. 
Aumarais è nato così, con questa stessa casualità. Con due o tre pagine scritte di getto, che lanciavano degli interrogativi e introducevano situazioni vaghe, aperte. Una storia mette radici nel momento in cui piano piano è lei stessa ad esigere che i nodi vengano al pettine, a pretendere che si risponda a quegli interrogativi. Allora si aggiusta il tiro, si creano i personaggi, il loro passato. 
Si creano persone. Si incastrano gli eventi. È così che il racconto prende forma, autonomo. Posso dire che fa tutto lui, da solo. Di solito ho da subito in testa un’ipotesi di finale. Che di solito, poi, diventa mano a mano troppo scontata, o fuori tema. L’illuminazione decisiva, quella che spiega ogni cosa, salta fuori per caso, a un certo punto, spesso in un momento della giornata del tutto inopportuno.
Infine, ne approfitto per sfatare il mito dello scrittore come lupo solitario perso nel suo mondo davanti a un foglio bianco: un romanzo ha bisogno di essere condiviso passo passo, ha bisogno di suggerimenti che vengano dall’esterno, ha bisogno di essere guardato dall’alto e giudicato oggettivamente. Chi scrive deve avere la lucidità di capirlo: si è troppo coinvolti, e il rischio è di farsi prendere la mano."

- Cosa significa aver avuto questo riconoscimento per te?
"Significa… tutto. Ogni cosa. Specialmente un pirotecnico colpo di fortuna. Significa aver realizzato un sogno che cullavo da quando facevo il liceo e che non avrei mai pensato di poter acchiappare per davvero. Io “da grande” volevo fare lo scrittore. Esserci in qualche modo riuscito a ventotto anni rappresenta un’emozione enorme. 
E anche un grande motivo d’orgoglio. Ci sarà davvero un volume col mio nome sopra in libreria, se ci penso ancora faccio parecchia fatica a crederci. Ero certo che fosse praticamente impossibile emergere in un mercato del genere e per di più nella situazione che attraversa oggi: entrarci così, da un giorno all’altro, e dalla porta principale, è davvero incredibile. 
Mi piace pensare che il bello però non sia alle spalle, ma che anzi inizi adesso. Che il concorso vinto rappresenti un punto di partenza. Mi piace pensare che Aumarais riuscirà in qualche modo a trasmettere a molte persone quello che io ci ho messo dentro scrivendolo. 
Di sicuro non piacerà a tutti, anzi, finora ha suscitato reazioni molto nette e di segno opposto: ma va bene così, va benissimo così. Sarebbe molto peggio se passasse inosservato. Poi, dopo, ogni piccolo passo avanti che farà sarà per me una conquista fantastica, nuova e del tutto stupefacente."

 - Cosa pensi del mercato editoriale italiano? 
"Non posso dare giudizi competenti in merito, conosco molto poco i meccanismi e le dinamiche del mercato editoriale. Posso fare qualche considerazione da fruitore di quel mercato, da compratore di libri. 
Non è un mistero né una novità che di lettori in Italia ce ne siano pochi, ma credo che le nuove frontiere dell’editoria digitale aprano spazi importanti per catturare l’attenzione delle persone che solitamente non amano fermarsi a sfogliare un romanzo. 
Credo anche che il mercato editoriale non sia più in crisi di qualunque altro settore industriale: chiaramente la situazione economica corrente non aiuta e non invoglia a spendere, ma le voci di un “crollo del mercato librario” mi sembrano un po’ forzate. 
Forse, questo sì, la crisi veicola le scelte editoriali verso percorsi più conservativi, che puntino quindi su autori affermati e apprezzati dal grande pubblico e garantiscano di conseguenza entrate sicure. Sacrificando in parte la qualità del prodotto all’altare della vendibilità. 
È una mia impressione, però, non suffragata da dati certi. E che, anche qualora fosse vera, non mi sentirei di biasimare: il mercato è guidato dall’utente finale, l’editoria si adegua. Certo, si potrebbe provare ad azzardare qualche esperimento più rischioso per cercare di smuovere le acque, ma non credo che una cosa escluda l’altra: probabilmente qualunque casa editrice, accanto ai best seller, è sempre alla ricerca di un nome sconosciuto che faccia saltare il banco."

 - Quali le difficoltà per un giovane autore di farsi conoscere?
"Infinite difficoltà. Per di più, a mio avviso, accompagnate da rischi sempre maggiori di illusione. Scrivere è uno degli hobby più comuni, quasi tutti hanno nel cassetto “il romanzo della propria vita”, o immaginano di scriverlo. 
Oggi però più che mai internet dà la possibilità a chiunque di sentirsi scrittore, grazie soprattutto al fenomeno dell’autopubblicazione, di cui io faccio parte e che ben conosco. Basta guardare quante persone si pubblicano in rete. 
Questo secondo me crea un po’ di false aspettative, insinua inconsciamente l’idea di avere per le mani un lavoro valido, di poter arrivare al successo o di essere tutti delle piccole E.L. James, che proprio dal mondo dell’autopubblicazione viene. 
Queste aspettative non hanno però alcun corrispettivo con la realtà dei fatti, nella quale le case editrici sono sommerse di manoscritti di scrittori esordienti che nella quasi totalità dei casi diventano carta da macero. Il panorama editoriale, come accennavo prima, è piuttosto chiuso alle novità, e a meno di non avere agganci dall’interno, come spesso accade in Italia, emergere è un’utopia. 
Gli esempi di successo dal basso sono molto rari, anche se formidabili. Le occasioni che le case editrici danno sono pochissime, e per sfruttarle ci vuole sicuramente talento ma anche una grande dose di fortuna. Io sono stato il fortunato, sono un privilegiato. Starà a me dimostrare di essermi meritato la mia buona sorte. 
Tuttavia, guardando il bicchiere mezzo pieno, il caso di Aumarais può essere di conforto: un romanzo scritto per diletto nei ritagli di tempo può un giorno essere portato in libreria da un’importante casa editrice. Infinite difficoltà, certo, ma niente di realmente impossibile."




Commenti

Posta un commento