di Sisco Montalto - Probabilmente Lee Harvey Oswald, quando da buon ex marine, centrò in pieno la testa del presidente Kennedy, non avrebbe mai pensato che a distanza di moltissimi anni, nella sperduta (ma sempre solare) Sicilia, un trio di selvaggi rockettari sarebbero stati ispirati in qualche modo dalla sua storia o meglio dalla sua misera fine, per identificare il loro progetto musicale.
Un progetto completamente fuori dagli schemi, che tra carrellate di ironia, surreale verità, richiami alla radici del blues, e grazie al marciume quotidiano che non ci manca manca mai, gli Oswald Black Banda riescono a mantenere fertile la loro ispirazione, riuscendo a creare tra folk, blues (per l'appunto) e rock, un sound davvero schizzoide e trascinante, che in qualche modo vi purificherà dalle nefandezze quotidiane.
Ho cercato di conoscerli un po' meglio..
-Mi ha incuriosito molto la vostra presentazione. Come nascono gli Oswald Black Banda, a partire dal nome (curioso)?
"Oswald Black Banda nasce da un rapporto di amicizia tra me (Guido – TiedBelly), Salvo (Sandpaper) ed Emiliano (Beat Lawyer), uniti dalla comune passione per certa musica. Anche se i percorsi sono stati diversi deve esserci stato, in un momento imprecisato della vita di ognuno di noi, un approdo ad un punto comune dove quel che conta, nella musica, non è la forma bensì l’intenzione, l’attitudine. In questo senso provare a declinare il Blues secondo le nostre sensibilità e i nostri limiti oggettivi (tecnici e culturali) è stato un gesto naturale, dettato sia dal comune amore verso il genere, sia perché il genere stesso ben si legava all’idea che l’attitudine determinasse la qualità del risultato finale più della perizia strumentale..
Il nome è una provocazione nata dal fatto che nel periodo in cui andava formandosi la banda, era stata messa all’asta la bara di Lee Harvey Oswald, il presunto assassino di Kennedy. L’idea di utilizzarne il nome non è dovuta ad un plauso riconosciuto al suo gesto quanto al fare riferimento a “una cosa brutta” della storia come evento formativo della nostra identità contemporanea. Le brutte cose hanno grande valore, importanza, ma spesso il giudizio morale che le accompagna impedisce di accettarne l’effettiva influenza e ammettere a noi stessi quanto sono una parte di noi. E poi, parliamoci chiaro, suona bene e non è un nome “classico” per una band."
-Sempre nella vostra presentazione parlate di Race Music. Spiegatemi/ci cos'è e soprattutto come nasce l'idea di rispolverarla?
"Non si trattava di rispolverare programmaticamente la race music, non c’è stata una progettualità premeditata nello scegliere quell’etichetta. Si trattava di presentare del materiale sgomberando il campo da possibili fraintendimenti. Blues è un termine che può significare ormai molte cose e viene evocato con estrema frequenza per descrivere materiali molto eterogenei tra loro. Facendo riferimento alla race music, si accoglieva l’idea di un mercato in cui anche la discriminazione fosse commercializzabile: una brutta cosa. Era un gesto scorretto e volevamo farlo. Il fatto è che la scrittura dei nostri brani, la loro ossatura, faceva riferimento a musica molto datata.
Noi tre sentiamo una spiccata propensione verso il Blues pre-bellico, verso quel periodo in cui la “forma” del genere non risultava ancora canonizzata completamente e le canzoni risultavano più diversificate tra loro nella strumentazione, nella struttura e nell’approccio vocale. Proprio la vocalità dei nostri brani ha molto risentito dell’ascolto delle voci del classic blues, come spesso viene definito il blues afferente al periodo della race music. Una cosa che mi è sembrato di capire è che un certo “sapore” che avevano le voci della musica di quel periodo era dato dal fatto che i cantanti cantassero in maggiore anche su brani in minore e viceversa. Non ho studiato musica perciò non posso affermarlo con certezza ma non me ne frega niente: per l’ approccio vocale è stato utile...
E poi c’è il riferimento storico. Il mercato dei race records venne spazzato via dalla crisi del 1929, la grande depressione. Può risultare una forzatura ma ci sembrava corretto sentirci parte anche noi di una “grande depressione” contemporanea. Annunciamo l’apocalisse ma non chiediamo pentimento a nessuno, per carità."
-Il vostro primo album è un disco sporco, vintage, blues. Cosa hanno a che fare tre siciliani con tutto questo?
"I siciliani purosangue sono solo due. Io sono romano per quanto naturalizzato siculo (vivo a Catania da ormai quasi sei anni). Detto questo, con il Blues non ci abbiamo a che fare più di quanto non vi abbia a che fare un inglese, un danese, un padano ma, se lo fanno loro, lo possiamo fare anche noi. Dopotutto il Blues è il latino della musica di tutto il novecento, perciò è una specie di Koinè. Ed è anche un linguaggio legato alle emozioni forti. Sul vintage ci andrei piano.
L’intento non è “antiquario”, la scelta è di usare meno mezzi possibili cioè di sperimentare all’interno di un contesto in cui sussistano delle limitazioni, delle invalidità. Rinunciare alla batteria per una scatola di cartone (oggi è un timpano) che prende la percussione e la processa con un effetto eco per chitarra è una scelta “Cheap” più che vintage. Così come l’uso della chitarra acustica “de-acusticizzata”: sono tutte limitazioni che cambiano anche e di molto il tuo approccio allo strumento nonché il risultato finale. E sono scelte dettate dalla pigrizia. Sembra musica vintage ma in realtà siamo dentro il nostro tempo; è solo che è musica povera, in tutti sensi, povera nei mezzi, nella scrittura, povera di senso morale, povera di impeto militante. La sporcizia è semplicemente la nostra dimensione naturale. Suoniamo sporchi perché lo siamo."
-A proposito di album: parlatemi del nuovo disco (omonimo) uscito a settembre, molto somigliante alla vostro modo di intendere la vita?
"Penso non possa essere diversamente. Cioè, non credo nessun individuo possa esprimersi sceverando il proprio contenuto dal proprio modo di intendere la vita. Questo però non ci rende fenomeni da baraccone né sopra né sotto il palco solo perché ci presentiamo come ci presentiamo. Le nostre vite hanno asprezze, difficoltà, dolori, problemi e lati positivi. La nostra musica ne risente senz’altro ma preferirei non dirti né come né quanto. Posso dire però che l’aspetto emotivo, dettato dal sentire profondo del momento, è un elemento importante di ciò che facciamo."
-Come vi rapportate con il panorama musicale odierno, fatto di molte cose che si somigliano, voi che invece non seguite per niente le mode del momento?
"In realtà penso che la proposta trovi una sua integrazione col panorama odierno. Pensiamo a riferimenti come Reverend Beat-Man, King Automatic o ad Angelo Leadbelly Rossi per parlare un po’ d’Europa oppure a Gravelroad, Reverend Deadeye, Possessed by Paul James, Oblivians per tirare fuori un po’ di nomi oltre Atlantico. E’ tutta gente che suona in giro, che si rifà ad una tradizione solida, documentata, che possiede i suoi canali per farsi ascoltare e che, gira e rigira, appartiene comunque al mondo della musica pop, non intesa come genere musicale ma come macro-categoria culturale.
Perciò non abbiamo la percezione di noi stessi come di una band fuori dagli schemi rispetto al panorama musicale odierno. Al limite è il panorama odierno che ci schifa, non noi. Una persona che ha ascoltato il disco ha detto che sembriamo dei punk vissuti negli anni ’30, io trovo la definizione parecchio calzante rispetto a quello che siamo."
-Sentendovi suonare si avverte divertimento nel farlo, ecco penso che molti artisti perdano di vista il fattore divertimento andando appresso ad altro. Per voi suonare cosa significa?
"Il fattore divertimento è primario. Di più, il piacere è primario. L’approccio è ludico senza alcun dubbio. Siamo tre gnomi non particolarmente aitanti: abbiamo sviluppato naturalmente la tendenza a non presentarci eccessivamente seriosi. Né siamo dotati di una tecnica tale da distoglierci dall’intento principale: divertirsi, spaccare il più possibile e, quando ci si riesce, spaventare le persone."
-Nel vostro progetto c'è anche un elemento forte di rottura col sistema, se vogliamo, fatto attraverso il sarcasmo, l’ironia verso quello che vi/ci circonda..La musica è per voi un modo per prendersi (e prendere) tutto non troppo seriamente?
"L’ironia è una cosa serissima. Penso che sia il contrario: siamo un gruppo che prende le cose molto seriamente. E’ che, in linea di massima, le cose fanno seriamente ridere. Più che di ironia nel caso nostro io parlerei proprio di scorrettezza. Di presa di distanza dal politicamente corretto, dalle buone azioni, dal ben pensare ma non dalle buone intenzioni perché con quelle si può lastricare la strada per l’inferno. Se per rottura col sistema s’intende l’affermazione del fatto che ognuno di noi, al di la di quanto dica, è partecipe compiaciuto della propria mostruosità e di quella degli altri oppure che siamo parte – aggiungerei una parte più che soddisfatta, soprattutto al cospetto di altre – del sistema, allora ok, siamo in forte rottura col sistema. Ma anche così non è un’intenzione a monte. Oswald Black Banda è più attratta dall’umano che dall’umanità (intesa come insieme di persone) o dalla società. Ci rifacciamo ad un’iconografia basata sul difetto come elemento distintivo, sulla superstizione, sulla violenza, sulla frequentazione quotidiana del male, sul voodoo, la paura, la religione e, insomma, tutto quell’armamentario in cui si riconoscono, in fondo, quelli non completamente integrati. È iconografia rock’n’roll, in finale. A modo nostro siamo portatori allegri di un messaggio negativo."
-Con la vostra musica tenete viva una grande tradizione musicale che non appartiene chiaramente all'Italia (o alla Sicilia). Trovate però qualche analogia tra la Race Music e la tradizione popolare (ma non solo) della vostra terra?
"Proveniamo da terre diverse e dalla stessa. Ma “Patria” è la Louisiana casomai, più che l’Italia.
Non mi sento di negare l’ipotesi di un etere, una sostanza musicale sottile, che tiene unite misteriosamente diverse tradizioni, geograficamente distanti, culturalmente eterogenee. Come in una specie di mono-genesi. Però è per me sostanza veramente troppo “sottile” per poter rispondere. Non sono a conoscenza di elementi accomunanti la race music alla tradizione nostrana. Quella è un’etichetta commerciale affibbiata da una società in cui la discriminazione era un cardine del sistema.
La tradizione italiana non mi pare abbia mai creato ad arte un target commerciale ad uso e consumo di persone con meno diritti di altre, non ancora credo. Non ricordo di un mercato discografico specifico, che so, per emigranti. Si può parlare di un repertorio popolare di canzoni sull’emigrazione non di un industria discografica ad essa legata. Perciò non mi sembra di trovare analogie tra i due mondi. Più che altro, per il discorso di prima su una traccia comune a tutte le tradizioni musicali popolari (la ballabilità, la narrazione ad esempio?) si possono trovare elementi di contatto tra blues e certa musica popolare italiana. Ma non si tratta si tracce che seguiamo. Non consapevolmente, almeno."
-Prossime tappe degli Oswald Black Banda?
"Lavorare alle nuove canzoni, registrare il prossimo lavoro con meno mezzi del primo, studiare un repertorio con il banjo, continuare ad annunciare l’apocalisse, mettere a disagio gli spettatori, imparare a suonare meglio quando siamo sbronzi."
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