Che potenza i Pontiak! – Live report (Roma, Circolo degli Artisti, 10 Aprile 2014)



di Sisco Montalto - Arrivano a Roma, direttamente dalla loro fattoria (nella quale hanno registrato il nuovo disco), i Pontiak. Seconda data in Italia, delle cinque previste, per presentare il loro ultimo disco Innocence ... Per poco il Circolo degli Artisti non viene giù, sotto i colpi martellanti e serrati dei tre fratelli della Virginia (USA)… A riscaldare l'ambiente, ci pensano Rubbish Factory, duo alla Black Keys che entusiasma, e i bravissimi e trascinanti Thee Elephant. 

Alle 23 poi, ecco salire sul palco Jennings, Van e Lain Carney.
In un tripudio (e abuso) collettivo di barbe (compresa la mia), a metà tra bikers e taglialegna del Missouri, i Pontiak esordiscono scalmanati, brindando (virtualmente) col pubblico e calandosi d’un sorso una dolce sambuca prima di iniziare subito il  loro show, breve ma di grande efficacia. Poco spettacolo e tanta sostanza. Il trio (con il batterista coperto totalmente) si intravede a stento sul palco. Le sagome dei due yankees Jennings e Van appaiono e scompaiono, coperte dal fumo. Van con la sua Gibson SG sputa riff duri, grezzi e trascinanti. Jennings, col cappellino da baseball che lo rende più tenero, martella sul basso come un ossesso. Subito tre mitragliate vengono sparate una dietro l’altra: Ghosts, Shining, Shell Skull.

Altissimi volumi (come consigliavano di ascoltare Echo Ono, album del 2012, scrivendo in copertina “Please, Listen At Full Volume”) e un suono pieno e cazzuto, quasi heavy,  fa da contrappunto alle voci pulite dei due fratelli, che creano un effetto fantastico cantando quasi sempre insieme. Pochi istanti di calma (che rivelano l’altra faccia pulita, da songwriters, dei Carney) con due pezzi folk, ma di un folk polveroso, che poi finisce lasciando spazio nuovamente all’inesorabile rock/stoner rozzo, neo psichedelico, blues. Un miscuglio sudicio ma di stile. 

A tratti sembra di sentire suonare i Nirvana, potenziati per tre volte almeno… Un po' ZZ Top ma molto meno pacchiani, un po' Motorhead (anche per gli effetti di contorno) senza la voce raschiata (che sa di carta vetrata) di Lemmy.
Ad ogni  pezzo  le mie esclamazioni  si rinnovano, e rimango quasi stupito da tre animali da palco dall’aspetto burbero però dei gran simpaticoni. 
I Pontiak presentano una potenza di fuoco non indifferente (nel disco come spesso accade qualcosa di perde)… Cerco tra i fumi qualche altro componente della band, non riuscendo a credere in alcuni istanti, che quei tre possano darci dentro in quel modo, creando una potenza sonora di grande effetto.

Un'ora più o meno di show, che mi fa tornare all'adolescenza, riconciliandomi  con la musica, quella incazzata, cattiva ma con una vera anima; senza tanti contorni, senza le contaminazioni tipiche delle registrazioni in studio. Musica che va dritta al punto come un pugno in pieno viso…

 Al “Thank you guys” dei ragazzi (dopo un bis lampo), con conseguente uscita veloce di scena, io con gli occhi sgranati penso: “nooo, ancora ancora ancora!!!! martellate ancora le mie orecchie!!!!”














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