Last stop: Calexico (Zanne Festival, Catania, Parco Gioeni, 20-07-2014)





di Giuseppe Iacobaci - Pare di essere catapultati nella "Seattle d'Italia" degli anni novanta - non quella vera, ma quella che, del tutto convinti, noi nonni raccontiamo ai bambini per metterli a nanna, perfetta e ideale come vorremmo ricordarla - tanto l'atmosfera è sospesa e magica. Lo stesso zigzagare sui viali di basolato all'ingresso, punteggiati di lanterne di carta, sembra un cammino per predisporsi a entrare in un paese dei balocchi fuori dalla realtà; e la stessa scelta degli headliner, ti dici strada facendo - tutte formazioni con quindici-vent'anni di vita sulle spalle - pare esprimere un netto desiderio di sospensione dal reale, dall'attuale.

Ci sono i panini vegani e quelli di porco bio, le birre artigianali, collanine e spille e magliette (niente merchandising dei calèssico, dannati), ci sono i vinili e le casse di Rolando, ci sono gli alberi e effluvi di erbe aromatiche della felicità, dietro a un albero ti sembra di vedere un folletto che ti guarda con la coda dell'occhio per poi dileguarsi fra la folla.

Ma è quando si accendono le luci sul palco che ti rendi conto di essere davvero qui e oggi. Sono i Lead to Gold di Augusta, unica Nuova Zanna di quest'anno (un solo slot? ce ne vorrebbero tre, sei, di più, che diamine! Futurism vs. Passéism!) a riportarti di botto nel 2014. Omaggio a Bowie a parte (uhmm), i brani originali della formazione sono davvero gradevoli ed è prima di tutto il candore dei tre a offrire quella dose di bellezza, di purezza, che neppure gli headliner sapranno replicare. Sono giovani, sprizzano da tutti i pori la gioia di stare su un palco così importante e davanti a così tante persone, ed è questo che vale, l'incredulità, il momento irripetibile, non la perfezione o la tecnica o i dogmi, checché ne dicano i tromboni dall'etichettina facile. Le band della nostra Seattle erano proprio così: fragili, sfacciate, emozionate.

Tocca poi, da cartellone, agli Skip Skip Ben Ben, sogno/incubo perfetto di qualunque ascoltatore con occhiali e barbetta (no, non la scrivo quella parola): un alternative-noise made in Taiwan con dissonanze e trip sonici a volontà, perfetto puntaspilli a forma di cuore al quale attaccare tutte le lodi o le critiche vi venga voglia di infilzarci, a seconda dell'umore della serata. Imperfetti? Deliziosi? Curiosi? Già sentiti? Mgngnmgngn? Quello che volete. Lo show è godibile e hanno potenza e melodia da vendere. Ci vogliamo lamentare? Ma no. Abbiamo speso venti euro per i Calèssico, tutto il resto è lardo che cola. (Ok, penso per un fugace istante che l'organizzazione avrebbe sborsato meno mettendo al posto loro sul palco, per dire, gli Zuma; Convertino e Burns avrebbero potuto scoprire quanto mescal abbiamo nelle vene qui in Sicilia, e soprattutto avrebbero potuto scoprirlo i siciliani stessi, che non lo sanno ancora; avremmo goduto un po' di più. Ma sarà, magari, per Zanne 2015. Bene così, benissimo; chiusa parentesi.)

I tempi di cambio palco sono perfetti e il boato che poco dopo accompagna l'arrivo dei Calexico annuncia che Catania ha tanta, tanta, tanta sete di musica e di qualcosa in cui credere, o anche solo di qualcosa da bere per dimenticare. Il pubblico si appende alle gonne di Burns e Convertino come un disperso nel Mojave alla prima oasi, e non è un miraggio perché, diciamolo subito, lo show è meraviglioso: la band suona benissimo e ha un repertorio invidiabile, si diverte tanto, sa come godersela e far godere, è tutto un sorridere e salutare e ringraziare; ci vogliamo bene.
Il set spazia in maniera piuttosto equa fra i vari lavori della band (un po' di Hot Rail e The Black Light in più non avrebbero guastato), e non possono mancare, ovviamente, pietre miliari come El Picador o Crystal Frontier, e una devastante Not Even Stevie Nicks (!) a ricordarci che stiamo ancora parlando di rock'n'roll (avevo dimenticato che fosse così bella, questa canzone; ma forse non era così bella, su disco) che incorpora Love Will Tear us Apart, la cover che meno ti aspetteresti da loro.

Qualcuno insinua che abbiano fatto una piccola ricerca di mercato per creare la setlist, perché non esiste al mondo posto migliore dove continuare ad omaggiare i Joy Division o suonare una strabiliante Bigmouth Strikes Again.
Dopo lo stupore per queste due selezioni sembra persino normale sentire Alone Again Or dei Love o una Desaparecido di Manu Chao, incastonata a perfezione in Guero Canelo. Le danze si fanno sinuose e sexy, l'allegria e la malinconia si fondono, la gioia della musica entra sottopelle ed esplode, più e più volte, e non è più rock, non è più salsa o mariachi, non è più un bel niente, e i dogmi e le regolette se ne vanno bellamente a fanculo mentre i cuori delle ragazze e i loro smartphone sono tutti per Jairo Zavala, effettivamente un figaccione da paura che vedrei bene a prendere a calci nelle palle Lenny Kravitz (perché? ma perché sì, è bello prendere a calci nelle palle Lenny Kravitz).

È una festa, una grande festa in cui tutti i sud del mondo sembrano diventare un unico luogo della mente, privo di indicazioni e di confini. Sì, è vero, gli ultimi lavori della band non sono eccelsi e, sì, è vero, si intravede tanto mestiere e tanta furbizia nella costruzione di questo set, ma dannazione, che spettacolo, che goduria.
Se una scheggia di presente, e uno squarcio di futuro possibile, in tutto questo sogno Zanne li regala, è proprio nello sfaldamento dei confini fra danza e sostanza, fra divertimento e qualità: è questa l'unica via ancora praticabile, in una Catania alla canna del gas, per riportarci a essere quel che eravamo, o abbiamo creduto di essere (abbiamo voluto credere di essere, ci siamo sforzati di voler credere di essere, ci piace pensare di esserci sforzati di aver voluto credere di essere, eccetera) una ventina d'anni fa. Ricordarci che godere senza diventare imbecilli è possibile.

Tanto di cappello quindi a Zanne, a chi con coraggio l'ha pensato, creato, proposto e riproposto migliorandolo ulteriormente (tre giorni di fila: ecco, ora sì è un festival), a chi ci ha creduto e lavorato, a tutta la schiera dei tecnici che l'hanno reso possibile, al pubblico (a proposito: dove cazzo siete il resto dell'anno?). Con la speranza che trionfi del genere creino nuova fiducia nella musica, e che la fiducia porti nuove iniziative, altrettanto serie e ben organizzate, per far saltar fuori il coperchio e far splendere i tanti diamanti che giacciono, sconosciuti, nei roster indipendenti di mezzo mondo e nei nostri garage.




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