Japan Suicide - We Die In Such Place (Unknown Pleasures Records, 9Aprile 2015)









di Sisco Montalto - Riuscire a riproporre in maniera fedele uno stile musicale è sempre un annoso problema e molto probabilmente qualcuno che storce il naso ci sarà ogni volta, in particolare quando si seguono strade stilistiche e sonore particolari come la new vave o la dark wave.
I generi in questione non brillano certo per originalità e sperimentazione,  al contrario il canovaccio è ogni volta lo stesso, abbastanza ripetitivo, e di conseguenza è difficile dare ai dischi quel tocco, difficile da trovare, che li rende diversi e ammiccanti.

Nonostante questo, i Japan Suicide (nome azzeccato per una band dark), con We Die In Such Place (titolo di shakespeariana memoria), disco fresco di pubblicazione, convincono subito anche chi magari non mastica tanto il genere. 

La band sembra uscita direttamente dagli anni 80’ e da quell'ondata dark che si fece strada in Inghilterra e che ha influenzato fior di band ancora oggi, segno che quelle sonorità e le atmosfere oscure, sono in qualche modo espressione di sensazioni  in cui molti si ritrovano. 
E’ il secondo disco per la band, che sembra aver raggiunto largamente la perfezione, almeno in quello che tentano di riproporre.

I Japan Suicide, sono riusciti a ricreare in maniera impeccabile il genere dark, nel sound distorto, diradato e ossessivo, nei testi decadenti e affranti, nella voce fredda quasi glaciale e in quel modo tipico di cantare arrancando. 
Per tutta la durata del disco hai l'impressione di sentire Ian Curtis e i  Joy Division, o  Peter Murphy e i suoi Bauhaus; in particolare i Cure, soprattutto nella voce di Stefano Bellerba,  con un Robert Smith che più di una volta sembra essersi reincarnato nel singer dei JS.

We Die In Such Place, è un lavoro davvero ottimo, che consiglio a tutti gli amanti del genere, ricordando anche che in questi casi non si parla solo di un genere musicale appunto, ma di un vero e proprio stile di vita,  che per quanto ripetitivo possa apparire, deve rimanere puro. I JS sono riusciti a mantenere la purezza del genere non cadendo nella semplice imitazione.

Da segnalare la traccia d’apertura Shame, perfetto manifesto dell’intero disco, e la copertina, davvero bella nella sua cupezza.




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