Acid Brew (Autoprodotto, 16 Maggio 2016)








di Sisco Montalto - Se non fosse per il caldo arrivato puntuale come sempre, mi verrebbe voglia di indossare i miei jeans a zampa d'elefante e la mia camicia dalle fantasie psichedeliche. Del resto, dopo aver ascoltato l'album (omonimo) d'esordio degli Acid Brew, come non si può aver voglia di catapultarsi nei magici anni 60/70. 

Il loro lavoro è un concentrato di sonorità vintage dal sapore lievemente lisergico. Un blues di fondo che attraversa tutte è nove le tracce del disco. Una manciata di minuti sufficienti a proporre il meglio del rock'n roll fatto in un certo modo. Hammond protagonista, chitarre dal suono acidamente distorto e atmosfere colorate da tinte d’altri tempi, che non fanno che divertire. Merito anche di una certa varietà dei brani, che riescono ad accarezzare un funk-soul (l'uso del sax è perfetto) che dà freschezza a tutto il lavoro, non facendolo cadere in quel tunnel del semplicemente già sentito. 

E' vero, gli Acid Brew cavalcano un'onda ben conosciuta ma questo non da automaticamente la chiave per creare un disco credibile. In fondo degli anni magici del rock ci rimangono solo ricordi indiretti e molti fantastici album, ma manca l'atmosfera di quei tempi e non è affatto facile ricrearla o tentare di farlo, attraverso la musica o l'arte in generale. Gli Acid Brew invece ci riescono bene e riescono ad inserire nell'album anche qualche elemento pop che non dispiace. 

Ma gli Acid Brew non sono solo degli amanti del vintage. Nei loro testi infatti probabilmente dimostrano tutta la loro maturità di artisti che hanno da dire e sanno come dirlo. Cantano la decadenza di anni contraddittori come quelli che stiamo vivendo nel mondo; e forse in questo riescono ad essere tanto vicini ad un modo di vedere la musica che ormai si è in qualche modo perso.

Insomma verrebbe da dire che, se questo è un esordio, chissà cosa saranno capaci di fare gli Acid Brew in futuro.





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