Live Report - Black Heart Procession (Spazio 211, Torino, 5 Marzo 2017)










di Sisco Montalto - Lo Spazio 211 si riempie flemmaticamente in una domenica sera già quasi mite e anche i live in programma sembrano seguire la scia di un lento crescendo musicale.


Si inizia con il one man band di Worlds Dirtiest Sport, al secolo Kevin Branstetter.  L'artista di Portland  presentava il suo album di debutto − Electroweak Phase Transition − e in qualche modo il suo micro cosmo musicale fatto di chitarra, basso, loop machine e vari effetti sfiziosi che creano un noise, un po’ pop,  dalla  struttura semplice e trascinante, a tratti stralunata, come stralunato e schivo sembra lui. In barba ai solisti che si atteggiano a cantautori seriosi ma modaioli, di una noia mortale.
Si chiude lo show di Branstetter e quasi sugli ultimi riverberi di  Electroweak Phase Transition si viene introdotti delicatamente nel viaggio lunare degli italo francesi Grimoon. Autentica sorpresa. Il trio è fortemente legato ai BHP (nel 2012 hanno registrato nello studio di Pall Jenkins il loro quarto album Le déserteur). 
Nella loro breve esibizione i Grimoon regalano una piacevole fuga dalla realtà, catapultandoci nell’immaginifico viaggio lunare insieme ai tre personaggi  del loro  spettacolo Vers la Lune. Un  collage di immagini  in stop  motion scorrono sullo schermo, accompagnate da una strumentazione minimale, con un vecchio Moog che ti introduce in un turbinio di effetti, di musica, di vocalizzi psichedelici, visionari, sognanti… E penso subito che probabilmente  è  il progetto  musicale più  originale incontrato  negli  ultimi tempi...

Così senza neanche accorgersi del tempo che passa e volendo ancora rimanere ad ascoltare le atmosfere lunari dei Grimoon, arrivano silenziosamente i Black Heart Procession. I quattro di San Diego sembrano più  i  classici americani da garage rock  della  Virginia.
Seri, composti, iniziano subito a ripercorrere le tracce del loro primo disco in maniera lineare, schematica. 1 è uscito nel 97 ma dal vivo ci si accorge come il tempo sembra essersi fermato e come brano dopo brano la bellezza e l'intensità di un disco, entrato già nella storia musica, sia ancora intatta e travolgente.

The Weiter, The Old Kind of Summer, Release My Heart, Bluewater Blackheart, si danno il cambio trasmettendo quella lucida malinconia  che  a distanza di anni riesce ancora ad  avvolgerti. La voce di Jenkins rispetto al 97 è ancora più vigorosa, inevitabilmente invecchiata e questo esalta  maggiormente la bellezza dei brani e dei testi decadenti e profondi di 1.

I Black Heart  Procession  sono minimali, taciturni, cupi come la loro musica. Poche volte accennano un sorriso. Solo verso la fine Pall Jenkins si lascia andare ad un paio di pensieri che fanno trasparire l’idea della band sulla politica trumpiana e con il sogno di una convivenza pacifica senza muri e divisioni, il live va verso la fine. The War is Over (da Three) e A Cry for Love (Amore del Tropico) sono la cornice perfetta per chiudere una serata intima, struggente e sono i brani ideali per trasmettere tutto il senso della musica e della sensibilità di uno dei migliori gruppi, che il cosiddetto post rock, ha prodotto negli ultimi anni. Ma a loro sembra proprio non importi nulla di tutto questo e stretti su di un minuscolo palco provano solo a regalare un po’ della loro inquietudine e speranza, attraverso quello che sanno fare meglio: Suonare. 





















Foto di: Nina Della Santa

Commenti